Allora adesso io ti libero, bambina mia
Allora adesso io ti libero,
bambina mia,
spalanco
i cancelli acuti della solitudine
che ti hanno murata viva,
sciolgo in pianto
il pugno duro dell’infanzia,
ti cedo, petali al vento,
tu che sei fioritura indomabile.
Ti snido, ti sguinzaglio. Ti slaccio
i piedini che non hanno strade imposte
ma solo una corsa innata verso il bene.
Vola via e restami accanto, tocca
scomponi il mondo solo come tu
vuoi, come tu senti.
Senti forte, bambina mia. Senti
tutto, tutto il buio, male arcuato
della specie che orchestra
salti di coscienza a ritroso
e capriole di violenza che tornano
tornano e torneranno ancora.
Ma noi non lo capiamo.
Che siamo noi il male.
Che siamo noi che lo nutriamo.
Ma sei libera adesso.
Libera di scegliere da che parte stare.
Se ti lasci aprire,
puoi trovare sempre un varco tra le macerie,
bambina mia, dove poter capitolare
da cui poter sbucare, fiorita, tra le rovine.
È intoccabile quell’impulso di luce,
inviolabile lo spazio dove poter tornare
a largamente respirare mentre il mondo
si fa strettoia senza via d’uscita.
Ricuci questa voce gigante al tuo seme sepolto,
ora che la primavera fa concerto. Ora,
lasciati cantare.
Annaffia, straripa, inondami
il nero dei pensieri quando ti strappo
i colori dalle mani. Sporca. Scavalca.
Scarabocchiami oltre i bordi,
oltre il mio stupido bisogno di perfezione.
Oltre la paura dell’ignoto
che serra il cuore alla conoscenza – di me
e mi fa stazione chiusa al fluire della vita.
Ecco, allora tu scaraventami
oltre la banchina del già noto,
portami con te nel salto
nel vuoto
lasciami a largo, sotto
la superficie del pregiudizio,
fino a toccare il fondale del vero.
Stai nel rischio, bambina mia,
ringhia e graffia per ogni nota d’ingiustizia,
non farti eco dell’indifferenza.
Io ti autorizzo ad essere brutta e cattiva.
Io ti autorizzo a disobbedire ad ogni autorità
che sia estranea al tuo cuore.
E ridi. Ridi sguaiatamente.
Mentre corri senza cinture
sugli altopiani selvaggi del femminile
addomesticato in secoli di dolore.
Rotola. Scomponiti.
Spettinati tutta.
Siedi a gambe aperte.
Chiedi, domanda, esplora a più non posso
il mondo. Il corpo.
Togliti le scarpe. Fatti nuda
senza paragoni di bellezza.
Tira via quel sorriso di stucco.
Straccia il copione se il ruolo
ti fa prigioniera.
Scuci. Spezza. Sbaglia.
Fai. Fallo male. Inizia.
È un delirio di lacrime e di gioia
l’infanzia liberata.
Adesso io
ti resto accanto. Ti sorreggo il pianto
mentre accarezzo il demone che hai dentro.
Perché voglio tutto di te. Anche l’oscuro.
Che ammaestrandolo nel gesto alato
della compassione, possa voltarsi
e sostenerti il volo verso la luce.
Perché sei tu la tua meta
e l’amore il tuo cocchiere.
E quando l’amore fa nido di ramoscelli
nel petto, basta un soffio languido
di bellezza perché un fuoco si sprigioni.
Allora tutto brucia, tutto si trasforma
nella danza duale del dolore e del piacere.
Solo un ricordare resta, incalpestato,
antico come l’universo. Un richiamo
di casa verso l’uno.
Ecco.
È per questo ricordare che io ti libero,
bambina mia,
per questo ri-dare-al-cuore
la misura di ogni gesto,
di ogni mia parola.
Isabella Lipperi